Per lavorare meglio, ho smesso di lavorare

L’ossessione per il lavoro mi aveva mangiato l’anima. Ho ritrovato le mie passioni e me la sono ripresa.

Valentina Di Michele
6 min readAug 29, 2019
Foto: James LeeUnsplash

Sono partita per le ferie con una pila di libri tecnici da studiare. In 20 giorni non ne ho aperto neanche uno, non ho mai pensato alle attività che faccio per vivere, non ho quasi aperto i social.

Ho rallentato fino a stare fuori dal tempo, e ho scelto di buttarmi anima e cuore sulle passioni che avevo messo in fuori gioco per dedicarmi alle cose serie.

Sono riemerse all’improvviso, e da questo detour torno con l’energia e la creatività che mi servono per lavorare meglio.

Il cerchio, in fondo, si chiude sempre.

Quanto a te, quanto a quel che non puoi fare che tu

Venerdì 9 agosto ho chiuso l’anno lavorativo con la sensazione di non avere più aria nei polmoni e appena la forza di toccare le piastrelle in fondo a una piscina.

Per troppo tempo mi sono circondata di solo lavoro, e dopo mesi frenetici di viaggi per lavoro, progettazione di contenuti per lavoro, studio e letture per lavoro, il mio unico desiderio era scivolare in un oblio incolore, o in alternativa essere risucchiata in un buco nero e sparata in un’altra galassia.

Traduco per comodità. Nella mia giornata tipo di freelance è lavoro:

  • quello dalle 8 alle 18 con cui pago le bollette;
  • leggere post e articoli di aggiornamento durante la pausa pranzo davanti al pc;
  • ascoltare podcast e workshop fino alle 20 mentre preparo la cena o mi alleno;
  • prima di dormire, con i libri di comunicazione, design o scrittura sul comodino.

L’italiano ha un verbo stupendo che descrive come stavo quel venerdì: mi sentivo obnubilata.

Quello che mi era successo è che sono andata giù nello scivolo scivoloso che precede il burnout.

Stress batte creatività 4–0

Sabato 10 agosto respiravo come un gorilla nella nebbia all’ombra di un chiostro miracoloso nella Certosa di Pontignano. Nel silenzio di quel pomeriggio, ho pensato che in questi mesi avevo perso tutte le idee, cioè la parte migliore di me: la creatività.

Certosa di Pontignano con piedi, 2019

Avevo letto studiato appreso moltissime nozioni che, allo stato delle cose, mi avevano solo inaridito.

“Al cuore Ramon, al cuore. Se vuoi uccidere un uomo devi colpirlo al cuore.”

Vuoi uccidere una persona? Toglile le cose che ama. Il concetto è lapalissiano, ma quando Joe lo straniero lo dice a Ramon Rojo ti resta in testa (mi sembra quasi superfluo scriverlo: il film è Per un pugno di dollari di Sergio Leone, e la scena intera è bellissima e si trova qui).

¡Ay, Ramon!

Quest’anno, sul campo del lavoro ho lasciato il cuore: tutte le mie passioni.

L’errore che ho commesso è stato pensare che la verticalità informativa all’americana facesse al caso mio: qualcosa tipo “se vuoi imparare a fare l’orlo a giorno devi studiare ossessivamente tutto sul cucito”.

Non generalizzo: per qualcuno sicuramente funziona.
Per me, semplicemente, no.

Sabato 10 agosto alle 15.50 respiravo come un gorilla nella nebbia mentre ascoltavo il podcast più bello della mia estate: così ho deciso che durante le ferie volevo farmi solo i beati affari miei.

Durante le ferie di agosto ho fatto 5 cose che non mi porteranno soldi né impegni, ma mi hanno dato molte idee su come migliorare la creatività e fare meglio il mio lavoro.

1. Le storie

Edgar Allan Poe, bevitore redento, fu vittima di rapimento a scopo elettorale e costretto a bere. L’alcol su un ex-alcolista: fu subito delirium tremens, ospedale e morte.

Come dire, basta un attimo perché il tuo punto debole ti faccia cadere nel delirium tremens.
Il mio punto debole sono le storie. In particolare, impazzisco per le storie di manga e anime.

Trent’anni di fandom in uno scaffal(on)e

Mentre sistemavo lo scaffale dei ricordi, sono riemerse le storie che mi fanno battere il cuore (un giorno magari ci scrivo anche un post. La tesi di laurea già l’ho scritta) e mi ci sono buttata con l’incoscienza di chi ha un tempo infinito davanti.

Ho ritrovato storie d’amore e di dolore che parlano di concetti enormi in pochissimi caratteri: ti occupi di UX Writing? Leggiti un manga e impara come si fa a esprimere in tre parole tutti i concetti che hai dentro.

2. La Divina Commedia

Ho ritrovato una vecchia versione dell’Inferno con le illustrazioni di Gustave Doré. Non c’è bisogno di spiegare quanto sia Dante: a un certo punto il telefono ha squillato mi sono svegliata sulla nave di Ulisse senza capire come ci fossi finita e da quante ore fossi lì.

Ero salpata da Minosse, al Canto V

Se disegni contenuti e pensi che la forma dell’anima sia la forma dell’uomo, Dante è una scossa elettrica. Magari non lo leggi dalle superiori, dall’Università, dall’ultima volta che lo ha recitato Benigni.

Dante fa bene perché è strategia di pensiero, costruzione di parola, pratica. È stile e contenuto, e come digital detox ha pochi rivali.

3. Guardare film e serie in lingua originale

Con i sottotitoli. Se la serie è in swahili è più sfidante, lo ammetto, e magari è meglio iniziare dalle lingue che mastichi già. Visto che parliamo di passioni, ho deciso di ricominciare a studiare il giapponese dopo averlo salutato all’Università, 20 anni fa.

Tra dizionario e google translate, ho fatto l’esercizio di confrontare parola detta e parola scritta. È un altro grandioso esercizio di UX Writing: conta le battute e cerca di capire se quello che viene detto riesce a stare tutto in una riga.

4. No FO.MO, Yes Party

Non stare sui social ti ricarica. FO.MO (“Fear of Missing Out”) è la sindrome che ti impedisce di farti una vita perché altrimenti sul web vanno avanti senza di te. A vari livelli, ne siamo colpiti tutti, e chi fa lavori digitali anche di più: se poi esce un articolo importante? Se viene annunciata una novità che non so? Mi sono fatta violenza e ho controllato poco i miei profili social e non ho postato (quasi) nulla. Neanche sull’amato gruppo che amministro, Microcopy & UX Writing Italia.
Quello che si perde si recupera, e se non si recupera, vuol dire che non era importante.

Ah, sono stata al primo Toga Party della mia vita. Tra tutti, con i miei amici eravamo quelli con le lenzuola indossate peggio.

5. Tomato Jam

Ultimo punto, del quale sono molto orgogliosa. La sacra tradizione del pomodoro estivo prevede che tutti gli individui di sesso F, di qualsiasi età, partecipino al rito della preparazione delle bottiglie di passata. Lavi i pomodori, elimini le parti guaste, poi via nella macchina-dei-pomodori per la cerimonia che si conclude con l’imbottigliamento e la bollitura.

Il pomodoro nella bacinella pre-imbottigliamento

Quest’anno, l’unica F presente ero io. Gli altri erano M, e le bottiglie sono venute bene lo stesso.

Dal rituale del pomodoro non ho imparato nulla per il mio lavoro.
Anzi, ho imparato qualcosa: che non è necessario imparare sempre da tutto.

Magari a volte posso anche rilassarmi, perché faccio un lavoro che mi piace fino a che non diventa ‘lavoro’, l’ossessione che stritola il mio tempo e mi toglie il sonno.

Faccio un fioretto per i mesi a venire: non dimenticare nulla di questo agosto. Sono piena di idee, arrivate da pagine e attività impensate.
Per la stagione calcistica 2019/20 voglio ripartire da qui.

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